Trovare soluzioni che riducano le emissioni è oramai un imperativo, poiché le normative stanno diventando sempre più stringenti e il contributo richiesto al settore agricolo sta diventando sempre più oneroso, come testimonia ad esempio la direttiva Nec (n° 2284/2016)che prevede limiti alle emissioni antropiche in atmosfera di diverse sostanze tra cui ossidi di azoto e ammoniaca (NH3). L’obiettivo italiano consiste nel ridurre del 5% le emissioni di ammoniaca del 2005, entro il 2029. L’attività agricola è tra le principali fonti di queste sostanze e quindi trovare accorgimenti e tecniche agronomiche sarà indispensabile per centrare questo obiettivo.
Tra queste le principali sono:
- la precisionfarming (Strumenti di Supporto alle Decisioni, applicazioni a rateo variabile, applicazioni seguite da GPS, ecc.);
- il miglioramento genetico con l’individuazione di varietà più efficienti in termini di sfruttamento dell’azoto e di approfondimento radicale;
- l’agricoltura conservativa;
- la messa a punto di fertilizzanti più efficienti;
- la pianificazione di sistemi colturali più sostenibili che contemplino i classici e sempre validi principi agronomici.
Relativamente a questo ultimo aspetto è nota ormai da tempo l’utilità delle colture come le leguminose, in grado di fissare azoto atmosferico e trasformarlo in azoto organico e a quindi risparmiare unità di azoto sintetico da somministrare durante la coltivazione.
Il ruolo delle leguminose
L’introduzione delle leguminose nelle rotazioni delle colture può quindi contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni di Ghg da diversi punti di vista.
Innanzitutto non necessitano di azoto ma, anzi, lo fissano, lasciandone talvolta una discreta quantità a disposizione delle colture in successione. Di conseguenza,per la coltura che segue, le fertilizzazioni azotate possono essere fortemente ridotte, infatti l’apporto di N a un cereale in rotazione a una leguminosa può essere ridotto in media di 50 kg N/ha, pur mantenendo le stesse performance.
Leguminose come l’erba medica posso inoltre, grazie al loro apparato radicale fittonante migliorare la struttura del suolo, facilitare l’assorbimento dei nutrienti profondi poco disponibili e aumentare la sostanza organica anche in strati più profondi del suolo.
Qualora siano usate come colture intercalari o in consociazione con altre colture,le leguminose possono mantenere il terreno coperto anche nell’intervallo di tempo che intercorre tra la colture principali. Numerosi studi hanno infatti dimostrato come il terreno nudo porta ad una perdita di azoto per volatilizzazione, un maggior rischio di erosione e maggiore libertà per le infestanti di crescere e diffondersi.
I vantaggi della consociazione tra grano e leguminose
Come dimostrano diversi studi condotti da Horta e di seguito riportati, le leguminosesi prestano bene ad essere introdotte nelle rotazioni come cover crop poiché consentono di ottenere tutti i benefici appena descritti senza pregiudicare la coltivazione della coltura più redditizia.
Il binomio cereali autunno vernini e leguminose sembrerebbe vincente, soprattutto se inteso come consociazione delle leguminose con il grano. La consociazione consiste nel seminare il grano in autunno e traseminare nel grano la leguminosa a fine inverno o inizio primavera. Ad inizio estate si trebbia il grano, di conseguenza aumenta la luminosità, permettendo così alla leguminosa di svilupparsi e coprire l’appezzamento. In passato questa pratica, chiamata bulatura, era familiare in campagna e frequentemente utilizzata.
Negli ultimi anni Horta ha ricominciato a studiare questa antica pratica colturale nel frumento duro al fine di trovare le migliori soluzioni senza pregiudicare le performance produttive e qualitative del cereale.
Poiché le prove sono in corso dal 2015 numerosi accorgimenti tecnici sono stati individuati in questi anni per mettere in pratica la strategia in modo corretto. Numerosi studi relativi alle specie e varietà di leguminose utilizzabili, le epoche di trasemina, la biomassa prodotta, i rilievi floristici, e le performance produttive e qualitative, nonché gli studi economici hanno permesso di avere un quadro quasi completo delle soluzioni realmente adottabili.
Dal 2017 gran parte di questi studi sono stati finanziati dal progetto europeo “IWMPRAISE – IntegratedWeed Management: PRActicalImplementation and Solutions for Europe” (“Gestione integrata del diserbo: implementazione pratica e soluzioni per l’Europa”).
Questo progetto, finanziato dal Programma Quadro dell’Unione Europea per la Ricerca e l’Innovazione (Horizon 2020),e che vede come capofila l’Università danese di Aarhus, mira a trovare soluzioni alternative all’uso dei diserbanti per la gestione delle principali colture agrarie europee.
Il carbonio sequestrato dalla consociazione
Nella stagione colturale 2015/2016 presso l’azienda Agricola Cà Bosco a Ravenna,Horta, in collaborazione con l’Università di Bologna, ha condotto una attività sperimentale volta a quantificare la biomassa prodotta (come sostanza secca) di 5 tesi. Due tesi consistevano nella consociazione grano con leguminosa (medica o trifoglio) mentre le altre 3 tesi erano solo frumento duro, medica e trifoglio senza trasemine.
- la consociazione non ha influenzato negativamente le rese della coltura principale (il frumento duro);
- nello sfalcio di fine prova le rese della medica e del trifoglio consociate non sono state molto dissimili dalle tesi il cui le leguminose non erano consociate e quindi coltivate come coltura principale. La sostanza secca complessiva a fine prova, (Figura 1) evidenzia come le tesi con la consociazione frumento/medica e frumento/trifoglio abbiano prodotto una biomassa significativamente più alta delle altre 3 tesi senza consociazione;
- nel frumento duro consociato la copertura vegetale del terreno realizzata dalle leguminose è stata funzionale al contenimento della nascite delle malerbe;
- i sistemi consociati hanno sequestrato più t/ha di carbonio rispetto ai sistemi non consociati (figura 2).
Figura 1: Totale sostanza secca prodotta da 5 diverse strategie colturali. Sperimentazione condotta a Ravenna da Horta presso l’azienda agricola Cà Bosco da ottobre 2015 ad aprile 2017.
Figura 2: Totale sostanza secca prodotta da 5 diverse strategie colturali. Sperimentazione condotta a Ravenna da Horta presso l’azienda agricola Cà Bosco da ottobre 2015 ad aprile 2017.
Altri studi, sempre del progetto IWMPRAISE, hanno riguardato la scelta varietale. Diverse specie della famiglia Medicago e affini all’erba medica (Medicago lupulina, Medicago polymorpha, Medicago truncatula, Medicago sativa, Medicago scutellata, Medicago rotata), di trifogli (Trifolium incarnatum, Trifolium resupinatum, Trifolium subterraneum, Trifolium michelianum, Trifolium alexandrinum, Trifolium repens), Veccia e Sulla sono state studiate nel 2018 e 2019. Dai primi risultati sembrano essere più promettenti la Medicago sativa (la classica erba medica, qualora si voglia intraprendere un erbaio poliannuale) e la Medicago lupulina (qualora invece si preferisca sovesciare la leguminosa prima di preparare il terreno per la successiva coltura da reddito). Tra i trifogli il migliore sembra essere il Trifolium repens (Ladino), sebbene i trifogli non sembrino essere convenienti quando l’estate è molto siccitosa e la pressione estiva delle infestanti molto elevata. In quest’ultimo caso è consigliabile l’erba medica. Infine tra Veccia e Sulla sembra essere più promettente la Sulla poiché la Veccia ha uno sviluppo troppo ascendente durante la coltivazione del grano e disturba il cereale in fase di maturazione e durante la raccolta.
Sebbene con il progetto IWMPRAISE si sono già ottenuti importanti risultati dal punto di vista tecnico e operativo, rimane ancora in sospeso lo studio dell’impatto ambientale e delle emissioni di queste pratiche. Non meno importante è infatti valutare quando la trasemina, l’uso delle colture di copertura e intercalari e la scelta di rotazioni che non lasciano i terreni nudi possono effettivamente ridurre le emissioni di gas serra.
Numerosi sono gli indizi che ci portano a pensare ciò, tuttavia queste iniziali impressioni devono ovviamente diventare oggettive ed è quindi necessario studiare la dinamica delle emissioni con apposita strumentazione.
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